Il PARTENARIATO PUBBLICO

con Nessun commento

Nell’ambito delle forme associative tra enti pubblici va annoverata anche la figura del “partenariato pubblicopubblico” quale forma di cooperazione tra amministrazioni per lo svolgimento di attività di servizio pubblico.

Tale modello associativo pone problemi di compatibilità con la disciplina degli appalti di matrice europea, retta dal fondamentale principio della libera concorrenza per la scelta del contraente, posto che, alla luce della dilatazione della nozione di “operatore economico”, parti contraenti di un appalto possono essere anche due amministrazioni.

L’istituto giuridico oggetto di analisi ha trovato il suo primo formale riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, la quale con la sentenza 9 giugno 2009, resa nella causa C-480/06, ha sancito la legittimità comunitaria di un accordo concluso tra vari comuni tedeschi al fine di affidare il trattamento dei rifiuti nel termovalorizzatore di uno di essi, con l’obbligo per gli altri di mettere a disposizione le capacità ricettive delle proprie discariche.

Ad avviso della Corte, un siffatto accordo può considerarsi legittimamente concluso nella misura in cui gli enti coinvolti istituiscano “una cooperazione tra enti locali finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi, ossia lo smaltimento dei rifiuti”.

Secondo i giudici del Lussemburgo tale modulo cooperativo, non istituzionalizzato in una forma organizzativa, ma basato solo su un accordo tra le amministrazioni coinvolte, non viola le dinamiche concorrenziali del mercato a condizione che esso sia retto unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico” e purché esso salvaguardi “il principio della parità di trattamento degli interessati di cui alla direttiva 92/50, cosicché nessuna impresa privata [venga] posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti’.

I confini degli accordi di cooperazione sono stati in seguito meglio precisati dalla Corte con la sentenza 19 dicembre 2012, resa nella causa C-159/11.

Segnatamente, è stato affermato che tali accordi sono sottratti all’ambito di applicazione delle procedure ad evidenza pubblica a condizione che: “siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico(sentenza 19 dicembre 2012, C-159/11).

Sul piano nazionale, anche il Consiglio di Stato (con sentenza n. 3849/2013) si è espresso sulla compatibilità di tale tipologia di accordi – regolati in via generale dall’art. 15 della l. 241/1990 – con la disciplina europea di evidenza pubblica.

A tal riguardo, è stato chiarito che: “gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti dalla legge generale sul procedimento amministrativo sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva 2004/18 di coordinamento degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture”.

Di talché, “il contenuto e la funzione elettiva degli accordi tra pubbliche amministrazioni è pertanto quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti”.

Pertanto, qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come operatore economico e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, “non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi”.

Ne discende che: “la disciplina dell’art. 15, L 7 agosto 1990, n. 241, può continuare ad applicarsi ad accordi tra amministrazioni non omologhe, purché riguardino attività squisitamente pubblicistica, anziché implicare per una delle parti dell’accordo stesso, la semplice prestazione di servizi che sono comunemente offerti sul mercato” (si v. anche Consiglio di Stato, sentenza 4631/2017).

Con le direttive UE del 2014 in materia di contratti pubblici il legislatore comunitario ha ufficialmente riconosciuto la compatibilità di questo modello organizzativo della P.A. con il diritto europeo.

In particolare, la direttiva 2014/24/UE enuncia il principio secondo cui: “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero poter deci­dere di fornire congiuntamente i rispettivi servizi pubblici mediante cooperazione senza essere obbligate ad avva­lersi di alcuna forma giuridica in  particolare. Tale coo­perazione potrebbe riguardare tutti i tipi di attività con­nesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità affi­dati alle amministrazioni partecipanti o da esse assunti, quali i compiti obbligatori o facoltativi di enti pubblici territoriali o i servizi affidati a organismi specifici dal diritto pubblico” (considerando n° 33).

Nel recepire le previsioni di cui alle citate direttive, l’art. 5, co. 6, del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (recante il c.d. “Codice dei contratti pubblici”) ha stabilito che un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici esula dall’ambito di applicazione del Codice, sicché non trova applicazione la disciplina pubblicistica dell’evidenza, a condizione che:

a) l’accordo stabilisca o realizzi una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;

b) l’attuazione di tale cooperazione sia retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico;

c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgano sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.

In tali casi, trova applicazione la disciplina generale sugli accordi di cui all’art. 15, l. 241/1990, atteso che i soggetti implicati non sono qualificabili come stazioni appaltanti e operatori economici e che la prestazione dedotta nell’accordo non è qualificabile come appalto.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni accordo avente contenuto patrimoniale soggiace alle regole dell’evidenza pubblica, posto che anche le amministrazioni pubbliche devono includersi tra gli operatori economici sottoposti alle regole della concorrenza ai sensi dell’art. 3, lett. p) del d.lgs. n. 50/2016 (sul punto si v. T.A.R. Campania, Napoli, n. 548/2019 e Consiglio di Stato n. 5968/2018).

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *