Il rapporto di integrazione esistente tra ordinamento nazionale ed ordinamento dell’Unione Europea implica la costituzione tra gli stessi di un unico corpus normativo all’interno del quale il diritto dell’Unione Europea si trova in posizione di primato.
Ciò ha come corollario che le norme europee possono fungere da parametro per sindacare direttamente la legittimità delle norme nazionali e degli atti amministrativi interni.
Orbene, anche l’illegittimità “unionale” del provvedimento amministrativo, al pari di quella costituzionale, può manifestarsi come:
1. Illegittimità comunitaria “diretta”, nell’ipotesi in cui sia il contenuto dell’atto stesso ad essere direttamente in contrasto con una norma europea;
2. Illegittimità comunitaria “indiretta”, qualora l’atto sia emanato sulla base di una norma statale in contrasto con il diritto europeo.
In entrambi i casi, il sindacato sull’atto amministrativo spetta al giudice amministrativo, ammettendosi un intervento della Corte di Giustizia dell’UE solamente sulla questione interpretativa o di validità del diritto europeo e non già direttamente sulla legge o sull’atto amministrativo interno.
In caso di invalidità indiretta, il giudice amministrativo dovrà disapplicare la norma statale anticomunitaria, sulla base della quale è stato emanato l’atto impugnato che di per sé non presenta alcun vizio.
Non è, invece, necessaria una declaratoria di incostituzionalità della norma statale, essendo sufficiente il rimedio della disapplicazione secondo la soluzione proposta dalla Corte di Giustizia sin dalla sentenza Simmenthal del 1978.
Quanto, invece, alle sorti dell’atto amministrativo sono state prospettate diverse soluzioni.
Secondo una parte della giurisprudenza occorre distinguere le ipotesi in cui la norma nazionale contrastante con il diritto comunitario costituisca la fonte del potere amministrativo da quelle in cui essa si limiti a disciplinare l’uso del potere amministrativo. Nel primo caso l’atto dovrà essere considerato “nullo” per carenza di potere. Nel secondo caso l’atto sarà soltanto annullabile.
Pertanto, la pronuncia del giudice amministrativo si caratterizzerà per un duplice contenuto: da un lato di disapplicazione della norma interna nel caso particolare; dall’altro di annullamento o dichiarativa della nullità del provvedimento amministrativo che verrà a trovarsi in una situazione di precarietà (poiché legittimo ed efficace medio tempore), stante la provvisorietà della norma interna oggetto di disapplicazione.
Invece, al cospetto di un’ipotesi di invalidità diretta del provvedimento amministrativo la soluzione più corretta, avallata dalla giurisprudenza amministrativa, è rappresentata dall’annullabilità dello stesso per violazione di legge (comunitaria) con onere di impugnativa entro l’ordinario termine di decadenza (come precisato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3072/2009).
Tale interpretazione si basa sulla teoria dell’integrazione degli ordinamenti, testé illustrata, la quale implica che gli effetti del contrasto con il diritto europeo sono equiparabili a quelli del contrasto con il diritto interno.
L’annullabilità evoca il paradigma del vizio di violazione di legge (ancorché comunitaria), essendo proprio la norma sovranazionale a rappresentare, senza intermediazioni, il parametro di legittimità dell’atto amministrativo con funzione analoga a quella ricoperta dalle norme costituzionali.
In questi casi, il ricorrente dovrà dimostrare in giudizio la violazione del diritto europeo, restando precluso al giudice un intervento ex officio, ed attendere la sentenza costitutiva di annullamento per il venir meno dell’atto impugnato.
Alla luce di quanto esposto, si può concludere nel senso che il regime naturale dell’illegittimità europea dell’atto amministrativo (sia essa diretta o indiretta) è quello dell’annullabilità alla stessa stregua di quanto avviene per l’ipotesi di contrasto con il diritto interno.
Va opportunamente segnalato che sulla questione concernente il termine di impugnazione si è pronunciata anche la Corte di Giustizia dell’UE (cfr. sentenza del 27 febbraio 2003, C-327/2000, Santex), con particolare riguardo alla possibilità di disapplicare i bandi “anticomunitari”.
Nel particolare caso sottoposto all’attenzione della Corte (di bando non impugnato tempestivamente e di un ricorso che investa solo l’atto di esclusione, invocandone l’incompatibilità con il diritto UE) i giudici del Lussemburgo hanno statuito che i giudici nazionali hanno l’obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull’incompatibilità del bando di gara con il diritto UE, anche ricorrendo alla possibilità di disapplicare le norme nazionali processuali di decadenza al fine di garantire il rispetto del principio di effettività del diritto europeo.
Avv. Silvio Battista
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